Easy rider – libertà e paura è un film emblema di una generazione. Ma fu vera gloria?
Non avevo mai capito il motivo per il quale un filmetto realizzato con due soldi e con una trama esile, sia potuto diventare l’emblema di una generazione e vincere a Cannes. Negli anni ho apprezzato il film, pur nella sua pochezza, proprio in virtù (forse) delle sue contraddizioni, che spiegherò in questo articolo.
Billy (Dennis Hopper) e White soprannominato “Capitan America” (Peter Fonda), vendono una partita di droga e partono per un viaggio da Los Angeles alla Lousiana, in sella alle loro moto. Durante quest’avventura incontrano diverse persone, tra le quali George Hanson (Jack Nicholson). Il bellissimo brano rock”Born to be wilde” degli Steppen Wolf, fa da premessa a questa cavalcata.
Il film è una metafora continua sul concetto di libertà, sulla paura e l’invidia che persone libere (dentro) suscitano in chi non lo è. L’arretratezza culturale del profondo sud degli Stati Uniti, costerà la vita ai tre protagonisti.
L’utopia sessantottesca è espressa al massimo, ma purtroppo si intravedono i prodromi dell’individualismo reganiano degli anni 80 che porterà poi al liberismo.
Infatti, rinnegare la società borghese in nome di una libertà assoluta, trasformerà la generazione hippie nella beat generation delle droghe pesanti, e dopo, in quella degli yuppies degli anni 80. L’individualismo diventa l’unica frontiera.
Non a caso, i due centauri possono permettersi di andare a zonzo con le moto, proprio perché la vendita della droga ha fruttato loro un discreto gruzzoletto, che li mette al riparo (per il momento) dalle preoccupazioni della sussistenza quotidiana.
Verso la fine del film Billy (Dennis Hopper) dice a White (Peter Fonda), «ce l’abbiamo fatta siamo ricchi» e l’altro gli risponde «siamo fregati». I valori borghesi usciti dalla porta rientrano dunque dalla finestra. La libertà individuale prepara all’egoismo senza freni, che è un’altra schiavitù.
Easy rider – libertà e paura è un film che mostra il nascere del neo-liberismo, che è stato innescato proprio dal movimento del 68. Questa idea che espongo qui non è nuova. Quanti “sessantottini” sono passati dall’altra parte? Quanti si sono convertiti al credo capitalistico?
Non è solo una mia riflessione. Roberto Mariani, già anni fa, con questa canzone critica un certo ambiente ex sessantottino. [1]
Inoltre, ai suoi tempi, Pasolini aveva intuito questa deriva, affermando che negli scontri di Valle Giulia, lui era con i poliziotti, in quanto figli di popolo, che erano chiamati a sedare (secondo lui) un gruppo di figli di papà, solo temporaneamente arrabbiati e finti rivoluzionari.
Infine, di recente, il filosofo Diego Fusaro ha individuato nel 68 la nascita del capitalismo assoluto. [2]
Il sessantotto ha distrutto la vecchia società borghese e per certi versi è stato un bene, ma per altri aspetti no. Quella società conosceva il senso del limite, soprattutto il senso dello stato. Lo stato come padre e super io collettivo, che la contestazione iconoclasta ha abbattuto, ma senza fornire modelli alternativi maturi. Ciò che resta sono le ceneri dell’individualismo sfrenato che ha portato a un edonismo acefalo, senza limiti e responsabilità sociali.
A mio avviso, Easy rider libertà e paura è il film che mostra, senza volerlo, queste contraddizioni. In questo fatto, forse, risiede il suo fascino e il suo limite, che fanno da specchio alla nostra società e quindi a una parte di noi.
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