Differenza tra simboli, segni e archetipi, mattoni fondanti di esoterismo, religione, psicologia, arte e filosofia.
Cercherò di fare chiarezza sulla differenza tra simboli, segni e archetipi, dopo mi soffermerò sui famigerati archetipi, dove andrò oltre la definizione classica (soprattutto Junghiana) per approdare verso ipotesi più intriganti. Ti consiglio di seguirmi in questa breve ma intensa esposizione.
Sommario
I segni, cosa sono e in che consistono
Il segno è qualcosa che riunisce il significato e il significante in un unico oggetto percepibile, che non può essere frainteso. Un segnale di STOP è un segno che indica di fermarsi. In buona sostanza il segno è “qualcosa che fa riferimento a qualcos’altro”.
Il simbolo e il significato che va oltre
I simboli rimandano a significati diversi oltre il segno. Simbolo deriva dal greco “symbolon” cioè mettere insieme.
Il simbolo mette insieme significati diversi (conosciuti o meno) per pervenire ad un nuovo significato. Noi possiamo guardare l’Eremita dei Tarocchi e vedere un vecchio con un bastone e una lampada oppure possiamo percepire un simbolo di saggezza, meditazione, riflessione, ritiro dal mondo.
Jung e gli archetipi
Infine ci sono gli archetipi, che possono essere definiti come:
«in ambito filosofico, la forma preesistente e primordiale di un pensiero, quale ad esempio l’idea platonica; in psicologia analitica da Jung ed altri autori, per indicare i simboli innati e predeterminati dell’inconscio umano, soprattutto collettivo; per derivazione in mitologia, le forme primitive alla base delle espressioni mitico-religiose dell’essere umano» [1]
Carl Gustav Jung è lo studioso che per primo ha approfondito gli archetipi in psicologia.
«Carl Gustav Jung teorizza che l’inconscio alla nascita contenga delle impostazioni psichiche innate, che si riflettono nel tipo di sistema nervoso caratteristico del genere umano, trasmesse in modo ereditario. Tali impostazioni e immagini mentali sono quindi collettive, cioè appartenenti a tutti; Jung chiama questo sistema psichico inconscio collettivo» [2]
In ultima analisi, l’archetipo è un’idea primordiale, essenziale ed immutabile.
Simboli, segni e archetipi
Si tratta di tre facce della stessa medaglia. Gli archetipi sono simboli (anche se immutabili) e i simboli sono espressi con segni. Anche in questo rapporto tra i tre concetti, ritroviamo la perfezione del numero tre. (La Santa Trinità, i trimurti). Tre elementi, nei quali uno permette l’incontro e la fusione degli altri due.
L’archetipo come operatore matematico
Possiamo fermarci a Jung o chiamare in causa Corrado Malanga. Professore di chimica all’Università di Pisa, ufologo di fama mondiale, ipnologo, studioso della struttura della coscienza umana.
In questa sede non intendo discettare sulla validità del lavoro di Malanga ufologo. In particolare delle sue indagini sui presunti addotti dagli alieni, da lui sottoposti ad ipnosi regressiva. Non ne ho la competenza (e secondo me neanche molti cosiddetti “scienziati” ce l’hanno) e l’argomento è fuori da questo articolo. Io mi riferisco ad una sua ipotesi che si fonda, a sua volta, sull’ipotesi dell’universo olografico del fisico David Bohm. Ipotesi che reputo plausibile e interessantissima.
Secondo Malanga l’archetipo «è un operatore matematico che opera sui luoghi di Spazio, Tempo, ed Energia trasformandoli in tutto ciò che è immaginabile» [3] proprio perché l’universo è olografico.
Non si dice forse che “la fede smuove la montagne”? Non si parla forse di “guarigioni miracolose”, oppure di maghi che hanno fatto rituali che hanno portato grandi benefici a chi li ha richiesti?
Bene. Tutto questo sarebbe opera degli archetipi, intesi come operatori matematici che, in certe circostanze, spesso a forte impatto emotivo, dove soprattutto è presente un uso specifico e finalizzato del linguaggio, (invocazioni, preghiere, formule magiche, recitazione di mantra, ecc…), vengono attivati e portano al cambiamento della realtà, poiché l’universo è un appunto un grande ologramma.
«Gli archetipi opererebbero quindi le trasformazioni dell’universo – o meglio ancora dei suoi luoghi – e il risultato di queste operazioni sarebbe il mutare dei campi elettrico, magnetico, e gravitazionale. L’archetipo è pertanto il principale, l’unico mezzo d’attuazione del miracolo» [4]
I rituali religiosi o magici tentano quindi l’attivazione archetipica, a volte con successo, a volte no.
Simboli, segni e archetipi nell’esperienza di Alejandro Jodorowsky
Anni dopo aver letto il libro di Corrado Malanga, mi sono imbattuto nella Psicomagia di Alejandro Jodorowsky e ho fatto un evidente e inevitabile collegamento, vista la grande affinità concettuale tra i due argomenti.
Jodorowsky mise a punto il suo metodo dopo aver frequentato per due anni le sessioni di guarigione di una vecchia “curandera” messicana: Pachita.
Questa donna eseguiva delle operazioni sui suoi pazienti che soffrivano anche di patologie importanti. Operazioni chiaramente false (a meno di credere che riuscisse ad asportare organi come fegato e colonna vertebrale e rimetterli a posto). Tuttavia l’ambiente, l’aspettativa, il rituale, insomma, tutto l’apparato simbolico era ampiamente dispiegato. La gente guariva. Da una fontana di credenze popolari e pregiudizi dovuti all’ignoranza, sgorgava un’acqua ricca di simboli, segni e archetipi.
La spiegazione che Jodorowsky da a queste guarigioni è il fulcro della sua Psicomagia: far parlare al conscio, il linguaggio dell’inconscio e non il contrario come avviene nella psicoanalisi. Da qui la critica di Jodorowsky alla psicoterapia classica quando afferma che “la parabla no cura”.
Il rituale attiva l’archetipo. Ma anche qui Jodorowsky è onesto: non sempre funziona e non certo nei casi disperati.
La Psicomagia si basa su rituali dove vengono usati, simboli, segni e archetipi, ma si tratta di procedure depurate dal pregiudizio popolare. Alejandro Jodorowsky ha scritto due libri sulla Psicomagia, entrambi pubblicati da Feltrinelli:
- Manuale Pratico di Psicomagia
- Psicomagia una terapia panica
Concludo segnalandoti questo filmato dove, in pochi minuti, Jodorowsky riassume la sua esperienza con Pachita definendola “Dantesca”.
[1][2]
[3][4]
Alieni o Demoni La Battaglia per la Vita Eterna, Corrado Malanga, Terre sommerse, 2010, Pagina 168.